Giro della valle Staffora, il racconto della giornata

il 15/09/2010 · 1 Comments

Massimo ed Elena si fermano a casa mia, 12km in più fanno comodo quando si cerca di superare il record dell’ anno precedente. La giornata è serena con un cielo coperto da qualche piccola nuvola e con una temperatura ideale per pedalare sulle impegnative salite dell’ Oltrepò pavese occidentale.
Passiamo da Salice Terme e attraverso la facile salita di Montalfeo arriviamo in piazza a Godiasco dove qualcuno è già pronto che ci aspetta. Subito dopo arrivano anche Sergio (che chiamerò CaSe per non confonderlo con l’ altro Sergio mio coetaneo) e Celestino, poi ci raggiungono Ezio e Piero, che all’ ultimo è riuscito a liberarsi per partecipare a questo nostro piccolo evento da veri grimpeur.
Il gruppo non può essere più variegato, le maglie del pedale Godiaschese rivestono la metà dei 10 partecipanti, ma l’ età dei ciclisti parte dal giovanissimo Flavio di 12-13 anni per superare i 60 di Piero, con qualcuno a far da portabandiera per ogni decennio! Questi siamo noi alla partenza, perdonatemi la foto storta ma per farla ho dovuto preparare l’ autoscatto sulla sella della mia bici appoggiata ad una transenna… Da sinistra Sergio, Matteo (l’ altro teenager figlio di CaSe), Massimo in alto, Pedra in basso, Elena, Piero, Ezio sullo sfondo, Flavio, Celestino, CaSe.


L’ inizio lungo la valle Ardivestra è molto tranquillo, ci scambiamo spesso compagno di parola discutendo tutti con tutti. Al primo metro di discesa Sergio ci stacca, lo riprenderemo solo durante il primo dei 3 strappetti della valle, salitelle banali ma che fanno già selezione, però non in base alla capacità, ma relativamente alla voglia di tirare. A Molino Signora si fermano quasi tutti a prendere l’ acqua da una fontana, dopo 5 minuti di lunga attesa comincio ad avere il dubbio che si attardino tutti perchè dal rubinetto sgorga vino, ma alla fine riusciamo a ripartire. Dietro al consiglio di CaSe abbandoniamo la strada per Montacuto svoltando verso Cappelletta, allungando il giro di 4km ma evitando qualche buca di troppo, ma soprattutto scalando una stradina dispersa in mezzo a campi arati ed ad occasionali tratti di bosco, con delle ripide impennate seguite da spianate, il tutto su una carreggiata larga come una ciclabile con l’ erba che ne sta conquistando la mezzeria. Tutti l’ affrontano bene, anche Flavio che per la sua età è salito forte! Dopo qualche km di crinale ed una lunga sosta di fianco a delle piante di mele passiamo a Sant’ Albano, da dove inizia la lunga discesa lungo la val di Nizza, 13km praticamente dritti al 2%. Mentre il gruppetto di testa tira sino a Ponte Nizza io rimango indietro con Elena, CaSe e Flavio, i quali girano per Pizzocorno affrontando il versante un po’ più facile di Oramala.

Da Ponte Nizza in avanti si fa sul serio, Oramala è la salita più dura della zona collinare coi suoi primi 5 km che sfiancano. Elena si chiede se sia normale sentire le campane a quest’ ora, ma “quali campane, Elena?” risponde Massimo, si vede che la strada al 10% annebbia l’ udito, ma non affievolisce l’humor pungente di cui Massimo è maestro. A Pizzocorno ritroviamo CaSe e Flavio, Sergio invece decide di tornare indietro anche a causa dell’ orario tardo. Il tratto centrale è il peggiore, per nostra fortuna hanno riasfaltato il km al 12%, certo che potevano completare i restanti 50m brutti, o “metterci il cartello <abbiamo finito l’ asfalto>” come suggerisce Celestino! Queste pendenze mettono in difficoltà tutti, ma pure Flavio stringe i denti e riesce a superarle. Al bivio per Poggio Ferrato  CaSe e figli ci salutano, noi restanti 6 continuiamo lungo gli ultimi strappetti prima della discesa, quando improvvisamente si apre la vista su Varzi, che raggiungiamo poco dopo.

Il nostro prossimo obbiettivo è Castellaro, una salita completamente nel bosco senza punte massime rilevanti, ma che complessivamente presenta 400m di dislivello in 8km, con pure dei tratti in discesa. Rimango davanti con Celestino, quando Massimo ci raggiunge capisce subito che sto parlando tutto esaltato delle mangiate Valtellinesi :). Abbiamo fame, arrivati in paese ne approfittiamo per concederci la giusta pausa pranzo, dopo le numerose soste “4 chiacchere” sparse nel percorso che ci hanno fatto ritardare sulla tabella di marcia. Ripartiamo in discesa tra qualche buca e qualche tratto di asfalto nuovo sino a Fabbrica Curone, dove perdiamo velocemente quota arrivando a San Sebastiano Curone, il paese da cui parte la salita di Guardamonte, che si chiama così non perchè dal basso si vede la cima (come spera qualcuno), ma perchè dall’ alto si vede tutto il monte Giarolo. I primi km salgono decisi, poi un pochino meno sino a Musigliano dove ci ricongiungiamo ed ammiriamo insieme quelli che si sono lanciati col parapendio dalla cima di Guardamonte, grossomodo dove saliamo noi obbligando la catena sui pignoni più grandi.
La discesa è ancor più ripida della salita, ma tutti o quasi non hanno problemi, se non io che per evitare rischi vado dritto ad un incrocio, invadendo l’ altra strada per un paio di metri. A Serra del Monte Celestino ci saluta scendendo direttamente verso Godiasco, noi 5 invece seguiamo il crinale per Colletta di Momperone, dove però abbandoniamo il percorso iniziale per scendere verso Cecima, non prima di qualche lamentela di Massimo per i troppi strappetti presenti sul territorio Oltrepadano. E’ comoda per loro Liguri, che hanno salite lunghe ma molto più regolari di noi ciclisti di collina!
Il giro prevedeva l’ ulteriore salita di Zebedassi, ma essendo in ritardo scendiamo in valle Staffora e torniamo a Godiasco seguendo la riva sinistra dello Staffora, dando le ultime pedalate su strade dal traffico scarso, come d’ altronde lo è stato in tutto il resto del giro, talmente scarso da sorprendere pure me.
All’ arrivo non riusciamo a salutarci, parlando di progetti ed esperienze passano altri 20 minuti prima che io, Massimo ed Elena ritorniamo a Rivanazzano dopo 6 ulteriori km.

Grazie a tutti, in particolare a Piero, Elena, Sergio, CaSe, Flavio, Matteo, Massimo, Ezio, Celestino! E’ stata veramente un’ ottima giornata di vera passione ciclistica, coniugando il turismo con un percorso forse non tanto bello, ma consigliato ai veri salitomani che vogliono faticare! Ad Ottobre ci sarà quello dell’ Oltrepò da Casteggio, ma per il 2011 ho in mente un’ ideina massacro… eheh, che chi la finirà sarà fiero di se stesso!

La strada che sale a Torre degli Alberi via Cappelletta


Elena verso Pizzocorno


Il piccolo eroico Flavio che fatica sul 12% di Oramala


Varzi dalle prime rampe di Castellaro, in alto a sinistra (in piccolo) il castello di Oramala


Gremiasco (val Curone) vista da Guardamonte


I calanchi di Guardamonte, con la pianura padana che fa capolino sullo sfondo


Panoramica sulla media valle Staffora da Serra del Monte

Tripletta Valtellinese, giorno 3b: Gavia!

il 12/09/2010 · 3 Comments

Un mezzo panino a testa è stata una buona scelta, il rischio di crisi di fame si allontana ma non affatichiamo ulteriormente lo stomaco dopo le mangiate di questi giorni. So che esiste una via più breve, ma ci fidiamo dei cartelli marroni indicanti il passo Gavia uscendo dal paese e ritrovandoci in salita verso il Tonale. Cominciamo a temere una segnaletica erronea, ma rinfrancati da un altro ciclista arriviamo al bivio giusto, perdendo quei 50 metri di quota che abbiamo appena guadagnato. L’ inizio è veramente soft, si sale su una specie di falsopiano lungo una strada larga a 2 corsie, osservando avanti dove sembrano unirsi le creste alpine e dove presumibilmente si trova l’ ultimo moloch della nostra avventura. Pedaliamo assieme sino a S. Apollonia, Massimo ha patito abbastanza il Mortirolo e per lui saranno una fatica questi 1400m di dislivello. Dopo il paesino la strada decide finalmente di salire, ma sino alla famigerata sbarra non ci mette in difficoltà, il nostro ritmo è tranquillo per non subire proprio l’ ultima vera asperità di questa che si sta delineando come la “Triplete” Valtellinese, il coronamento delle mie speranze ciclistiche 2010.
Ma la sbarra non serve solo a chiudere il passo in inverno, serve ad avvertirci che da ora in avanti non si scherza più, il Gavia richiederà il nostro massimo impegno. Un tempo questo tratto era sterrato, ora invece un liscio strato di bitume largo non più di 3m aiuta lo scorrimento delle ruote, su pendenze che mi spingono ad interrogarmi se il Mortirolo fosse già finito. Infatti il panorama è cambiato, siamo in un fitto bosco su pendenze veramente arcigne da cui solo il 34×27 mi protegge. Il traffico è comunque tollerabile, ma capita spesso di doversi incrociare con motociclisti e di dover aiutare le macchine a passarci, addirittura spostandoci in un allargamento sulla sinistra. Ogni tanto qualche tornante ci regala viste parzialmente coperte dalla vegetazione, ma sufficentemente belle per una sosta fotografica. Finalmente il tratto di Mortirolo è finito e ricominciamo a soffrire meno su pendenze normali, che non superano il 12%. Ad un altro tornante incontriamo altri 2 stranieri che come noi contemplano la val di Pezzo, un pezzo di asfalto appena superato che si trova ben sotto alla nostra quota e le cime con ancora neve che sciogliendosi forma fragorosi ruscelli il cui rumore arriva sino a noi. Dopo qualche foto li salutiamo, la parte all’ ombra è finita e nonostante siamo oltre i 2000m non fa assolutamente freddo.
La carreggiata è altalenante, tratti discretamente larghi si alternano a dei veri e propri budelli, ma l’ asfalto è sempre buono. Massimo comincia a sentire la fatica, approfitta sempre delle mie pause foto per farmi compagnia, al contrario di ieri sullo Stelvio non fatico ad allungare per poi aspettarlo quando vedo nuovi panorami degni di nota. Ad un punto la strada entra nella montagna, quella è la famosa galleria a cui manca completamente l’ illuminazione, terrore di chi scala questo versante che spesso si munisce di luci sul manubrio, non come me che rassicurato sull’ effettiva illuminazione ci ho rinunciato. L’ idea è di pedalare assieme, ma quando entro in quel budello l’ unico mio pensiero è di uscirne il prima possibile, pedalo pimpante osservando quel chiarore sul fondo che si sta avvicinando. La galleria non è però brutta come mi aspettavo, la strada è liscia e larga a 2 corsie, ma nel buio più completo è solo grazie ai catarifrangenti sui lati se riesco a capire dov’è la parete e sono fin contento quando passa qualche mezzo motorizzato che illumina per qualche secondo, sperando solo che ci vedano in tempo. L’ alternativa esiste, ma è un sentiero di sassi che scorre tra la parete esterna ed il dirupo, peggio della galleria stessa. Massimo è dietro di me, ma per lui è stato uno sforzo notevole che paga già all’ uscita.
Ora mi sento quasi a casa, l’ asfalto è diventato rugoso con diverse buche che distolgono lo sguardo dalla ampia varietà di questo luogo, con laghetti, monti e pietraie dai 1000 colori. Al passo arriviamo poco dopo, ci fermiamo per una piccola sosta comprensiva di fotografia al cartello, ma non abbiamo tanto tempo da perdere e così ci lanciamo in discesa, la più brutta di questi 3 giorni con crepe e buche, sebbene in numero non elevato. Lasciamo il ghiacciaio sulla destra, incrociamo diversi ciclisti che salgono da S. Caterina e ci fermiamo in paese per la mia ricerca di un panino, ricerca che fallisce dopo 2 bar lasciandomi un certo nervosismo. Siamo a 1800m di quota, mi tolgo la mantellina senza avere freddo fino quasi a Bormio, dove scendiamo spediti seguendo la valle del Frodolfo.

Poco prima di Bormio anche Maxi si toglie il kway, ha caldo pure lui, mentre io decido di rinunciare al panino e di stare sino a casa (in Oltrepò pavese) senza mangiare qualcosa di sostanzioso, tanto resisto alla dieta temporanea. Superato Bormio faccio conoscere al mio socio di pedalate quella parte di valle che si è perso 2 giorni fa, con quella salitella al 5% da prendere con filosofia di rassegnazione. Un ragazzo in apecar ci supera, mi rendo conto che va poco più di me e provo a stargli a ruota salendo ai 21-22kmh. Lui gioca con i cambi, ma non riesce a prendere velocità e poco prima della fine lo passo pure! Dicevo che oggi sarebbe stata la mia giornata, ed essere abbastanza fresco dopo Mortirolo-Gavia ne è la prova! Discesa veloce con il passaggio tecnico che supera i lavori, alcuni km di falsopiano e l’ incontro con (credo) padre ed una splendida figlia bionda con delle gambe così belle sode che solo una pratica sportiva abituale può donare alle ragazze, diciamo che siamo a livello “tornanti dello Stelvio” come bellezza … ahahah

Pian piano saliamo sino all’ hotel, 100m extra di dislivello per finire degnamente la giornata, per poi ringraziare a dovere la ragazza in hotel che ci ha lasciato usare i bagni per cambiarci e che ci ha offerto spremuta e caffè, il minimo prima 4 ore di rientro dovute anche ad un incidente lungo la super-strada che ci ha obbligati a seguire metà del lago di Lecco. Sarei rimasto una notte in più per un quarto giro con Aprica e Santa Cristina e per un ritorno più tranquillo, ma non essendoci posto ci accontentiamo di cenare da me alle 10:30.

Quel tornante che abbiamo appena fatto


Lassù, sulla destra, è la che dobbiamo andare


Dagli ultimi 2km di fatica


Il lago Nero, ormai è quasi fatta


Panorama sull’ Ortles (credo) dal passo Gavia


Meritata foto al cartello. Dopo 3 giorni così la stanchezza è d’obbligo


La “Triplete” valtellinese è compiuta, dopo i 120km e 3390m di dislivello odierni sono a 331km e 10200m in 3 giorni, con 6 nuovi 2000m, 11 nuove salite e un ottimo ricordo ciclistico.
Le più belle sorprese vengono dalla stradina del Gavia, dalla tranquillità della statale Valtellinese e dallo Stelvio da Bormio, mentre quello da Prato è stato superlativo ma come nelle mie attese. Invece sono deluso dal traffico esagerato di Bernina e Foscagno e per qualche motivo dal Mortirolo, che mi aspettavo più regolare ma paradossalmente anche più duro!
Gli altri ricordi particolari sono legati al cibo, alla buona cena del ristorante, al gelato di Grosio, alla colazione super deliziosa e dalla mega mangiata alla locanda val Grosina, un must di quando salgo tra i monti Lombardi! Contento anche di quel minimo di vita serale che ci siamo potuti permettere, è stata un’ esperienza da rifare, magari con una “triplete” Dolomitica nel 2011!

Ciao e grazie della lettura! Ma non è finita qui, prossimamente vi racconterò di altri 2 giri liguri e di quello in val d’Aveto, ed altro ancora!

Tripletta Valtellinese, giorno 3a: Mortirolo!

il 11/09/2010 · Commenti disabilitati su Tripletta Valtellinese, giorno 3a: Mortirolo!

21/08/2010

La bi-Stelvio è stata l’ avventura di Massimo, la tappa Mortirolo-Gavia invece sarà il mio giro, quello che sto temendo e aspettando da tanto tempo ormai, specialmente nella sua prima parte. Il Mortirolo nel mio immaginario è la Salita, l’ esempio migliore di sfida contro la gravità lungo le pendici una montagna. Ne ho timore poichè sarà ampiamente la più dura che avrò mai fatto (10,45% di media in ben 12,5km!), ed anche perchè ho l’ obbiettivo ambiziosissimo di farlo in un’ ora netta, che conoscendo ora la strada so essere proprio ai miei limiti assoluti…
Prepariamo le valigie prima di una corposa colazione, nonostante la cena della sera precedente abbiamo bisogno di incamerare calorie per riempire quelle consumate nei due giorni precedenti. Alla tv trasmettono alcune frasi da baci perugina che spacciano per oroscopo, Massimo perde quello della Bilancia ma io lo assicuro che è buono, mentre quello specifico di Pedra prevede 10000m di dislivello per questi 3 giorni. E’ anche per questo che sono stato fiducioso nella riuscita della bi-Stelvio nonostante le brutte previsioni meteo di ieri.
Gentilmente ci lasciano tenere la macchina in garage, nonostante un po’ di confusione riusciamo a sistemare tutto e partire quasi in orario. I 2 giganti non sono l’ unica difficoltà odierna, avremo pure 4 ore di auto per il ritorno. La partenza è in discesa, o meglio in picchiata attraverso Sondalo, fino alla statale della Valtellina. Oggi sarà una giornata calda, ma tra gli stretti monti sentiamo leggermente freddo nel tratto che scende ripido sino a Grosio, dove la valle si allarga ed un tiepido sole finalmente ci scalda. Dopo il pavèe del paese iniziamo a pedalare seriamente, diversi km di falsopiano con qualche contropendenza ci permettono di mandare le gambe a regime sino al cartello di Mazzo di Valtellina. Il mostro è la sopra, riconosco il centro del paese dentro il quale sono passati i professionisti, ma seguiamo i cartelli marroni che ci spediscono al purgatorio. Un cartello ci ricorda cosa stiamo per affrontare, riportandone pure l’ altimetria che ripasso velocemente, col micidiale 6° km al 14% medio. Quasi mi tremano le gambe, è giunta l’ ora che aspetto almeno dal 2008!

Ore 11:19, aggancio il pedale in prossimità del cartello e parto, subito al mio ritmo, questa salita merita di essere sfidata a viso aperto. La strada è come la ricordo, tutta nel bosco e larga una corsia, su asfalto bello. Ma quei tratti in cui spiana non me li sarei mai immaginati. Faccio una sosta di 30 secondi per togliermi occhiali e bretelle, per favorire al massimo la respirazione. Riparto e finalmente il Mortirolo si mostra nel suo vero aspetto, diverse rampe toste chiedono un 34×29 che non ho, ma comunque col 27 riesco a mantenere il passo senza scendere sotto gli 8 orari nei tratti più ripidi.
Però ogni tanto trovo 100m al 5%, pensavo fosse regolare ed invece così è più difficile fare il tempo, o forzo per accelerare o ne approfitto per respirare. Scelgo una via di mezzo bevendo piccoli sorsi prima di rispostare la catena sul 27 all’ ennesimo muro. Il panorama che si apre sulla valle è interessante, ma non posso fermarmi. Peccato però, vorrà dire che ruberò qualche foto da Panoramio… Ad un cartello indicante 1050m di quota faccio un veloce calcolo temporale, e scopro di viaggiare sui 1300mh di VAM, ma penso anche che me ne mancano ancora 800, cioè almeno 40 minuti ad un ritmo piuttosto alto, e decido di non rischiare lo scoppio rallentando leggermente.
Sinceramente non ricordo qualche tratto più o meno duro, tranne uno subito dopo una malga in cui tengo a fatica gli 8kmh, ma nel complesso non trovo pendii così impossibili sebbene la catena sia spesso sul 27, con qualche toccata sul 25. Ogni tanto la strada presenta un maledetto falsopiano dove mando giù un sorso d’ acqua, per poi schizzare di nuovo all’ insù. Dai cartelli di malghe e case che riportano la quota capisco di essere calato abbastanza, l’ ora netta è ormai un miraggio, ma ormai sono anche certo di reggere sino alla fine senza problemi, anzi di averne ancora.
Gli ultimi km per me sono i peggiori, la pendenza media scende sotto il 10% ma solo perchè le spianate sono più numerose e lunghe, cerco di aumentare la velocità superando gli ultimi metri a ritmo salita pedalabile, ma il verdetto è inesorabile: 1h:04:15“. Cioè, non malaccio, ma sono leggermente deluso, anche se col senno del poi 1:02:00 circa sarebbe stato un crono alla mia portata, l’ ora netta no… non con questa irregolarità.

Una volta che realizzi un sogno non ti resta che un vuoto nel cuore, ed ora che il mio Mortirolo è fatto mi manca qualcosa, l’ ho guardato in faccia e battuto senza troppi problemi, addirittura meno dello Stelvio da Prato, ma ora che fare? Ce n’è una in Friuli che dicono sia molto più dura…
Arrivano al passo anche uomini in mtb, alcuni hanno impiegato più di due ore, ma hanno vinto anche loro e pure più di me! Massimo arriva ben più provato dopo 12 minuti, sinceramente pensavo ci mettese qualcosina in più ma nemmeno lui è troppo contento, il suo obbiettivo erano i 75′. Le foto al cartello sono d’ obbligo, dopo di esse ci lanciamo nella bella discesa tecnica sino a Monno. Di nuovo acqua ad una fontana per risaliare verso Ponte di Legno, un paese che abbino ad una cosa, anzi due: GAVIA e … Recco, comune con cui è gemellato e dove io e Massimo siamo partiti per un giusto allenamento nell’ entroterra ligure giusto 5 giorni fa (giro di cui vi racconterò i particolari). Pedaliamo molto tranquilli, non si capisce se è falsopiano, pianura o salita facile, ma noi prendiamo per buona l’ ultima ipotesi. Non abbiamo tanta fame, ma non vogliamo rischiarci il Gavia con appena qualche barretta e perciò ci fermiamo per un panino in 2.

Il Gavia al prossimo post!

Sondalo al mattino visto dal balcone, l’hotel si trova nella parte alta del paese


Vista sulla Valtellina verso Tirano, rubata da Panoramio (non potevo mica fermarmi sul Mortirolo!) (Foto di Poldiva12)


Una degna fotografia


La Mortimucca (by Massimo)

Tripletta valtellina, giorno 2b: Prato – Stelvio

il 07/09/2010 · Commenti disabilitati su Tripletta valtellina, giorno 2b: Prato – Stelvio

20/08/2010

La prima parte la si può leggere qui: http://giriesalite.altervista.org/?p=610

Siamo a Santa Maria, la prima è compiuta, ora ci aspetta del falsopiano e la seconda scalata di giornata attraverso il mito dello Stelvio, quello con la S maiuscola e 48 tornanti. Decidiamo di mangiare in Italia per non avere problemi di cambio, perciò partiamo subito facendo solo una sosta a Munstar per riempire le borraccie. Il tempo è buono, non fa nè caldo nè freddo, l’ ideale per l’ impresa odierna. La strada lungo la valle del “Rom” è bella come immaginavo e nemmeno trafficata, inoltre una dolce discesa con sporadici tratti più ripidi ci spinge con forza verso il confine italiano, dove scambiamo un saluto coi finanzieri. Di bar nemmeno l’ ombra a Tubre, solo hotel da cui preferisco non andare per evitare l’ inculata, continuiamo quindi scambiandoci il turno in testa ora lungo un fitto bosco, ora su una vallata che si è aperta mostrandoci un mondo nuovo, quello delle montagne altoatesine, superando cartelli in tedesco ed italiano indicanti paesi come Merano, Glorenza, Malles e altri più piccoli in val Venosta, territori che conosco solo per sentito dire e che un giorno dovrò percorrere. Fortuna che le segnalazioni sono chiare e prendiamo subito il bivio giusto per Prato allo Stelvio, o meglio “Prad ad Stilfser”. Ed è qui che vediamo l’ unico tratto simil-pianura di questi 3 giorni, un drittone di 3-4 km con un dislivello minimo controllato dall’ occhio attento di un autovelox, che a noi non da problemi. Arriviamo a Prato e troviamo un bar, a fatica il ragazzo al bancone capisce cosa significhi “panino” e in un italiano veramente approssimato risponde che loro fanno birre, e ci consiglia dove cercarne un altro. Giriamo per Prato come due scemi fin quando capiamo che il grosso del paese è più avanti. Troviamo dove mangiare, un normale panino col formaggio ci rifocilla, mentre il lavandino del bagno mi aiuta a darmi una pulita.

Ed ora si va su, il Re Stelvio è li davanti a noi con 26km di salita che hanno fatto la storia del ciclismo grazie ai famosissimi 48 tornanti numerati che una volta usciti dal bosco si avvinghiano al lato nord della valle, regalando scorci da incubo, che diventano una favola una volta sconfitti. E’ la salita che Massimo stava tanto aspettando, e che anch’io rispetto visto che d’ ora in avanti non ci sarà nemmeno un metro in cui rifiatare. Si parte con il giusto riscaldamento su una leggera salita lungo il corso del rigoglioso rio Trafoi, una valanga d’ acqua fredda che ha scavato questa conca con le cime dell’ Ortles da un lato e la strada dall’ altro. Quando le pendenze si fanno importanti Massimo comincia a sentire i morsi di una crisi, lo stacco con troppa facilità ma penso che lo stia facendo solo per risparmiarsi, sebbene sia lui a confermarmi di non stare troppo bene. Sperando nella sua ripresa lo stacco e ne approfitto per delle foto, ora che la salita entra nel vivo con il primo tornante, il 48°. Passiamo attraverso Gomagoi dove superiamo uno straniero che sta salendo pian piano, se facciamo fatica noi, figuriamoci lui che probabilmente impiegherà 3 ore a completare la scalata!
La vista finalmente si amplia, stiamo ancora seguendo la valle ma cominciamo a prendere quota, con l’ Ortles che pian piano ci svela la sua bellezza composta di rocce scolpite dal tempo e di ghiacci eterni (per ora, global warming a parte). Ritardo perchè non posso non avere delle testimonianze di questa scalata, e fatico di seguito a raggiungere Massimo anche perchè rallentato da dei saluti a ciclisti eroici con almeno 10kg di bagagli a testa. Ci ricompattiamo solo perchè si è fermato ad aspettarmi, ma mi rendo conto che ora quello in forma calante sono io! Nulla di preoccupante al momento, solo qualche watt in meno del solito, ma i rapporti di forza tra di noi sono cambiati e fatico a recuperare il terreno dopo altri scatti all’ Ortles, ora più vicino che a Trafoi.
Da qui è vero Stelvio, siamo in un fitto bosco coi tornanti che ormai sono strettissimi, hanno passato il livello di curva a 180° e sono diventati “giri di boa”, che le auto devono prendere larghi e che anche in bici bisogna pennellare per non piantarsi all’ interno. La foresta ci fa compagnia sino a quote inconsuete per gli Appennini, solo dopo i 2000m si apre ai nostri occhi una delle visuali più famose al mondo. Per fortuna mia sono essenzialista, guardo in alto ma non mi scoraggio, perchè non mi importa di vedere i restanti 600m di dislivello, mi basta sapere che ci sono! Però, ancora 40 minuti almeno di salita sempre costante al 9% circa… Ma pian piano, salendo insieme superiamo la casa cantoniera e ci lanciamo per gli ultimi 500m di salita verticale, con diverse soste per salvare sulla fotocamera i sempre più numerosi tornanti precedenti e l’ Ortles che sembra man mano più vicino. Capisco anche perchè questi 48 tornanti sono mitici, è grazie al loro diametro minimo se questo versante è entrato nell’ olimpo delle Alpi, peccato che i camper ed ahimè alcune persone in macchina debbano fare manovra per superarli. Cominciamo pure a sentire delle sporadiche goccie, ma non mi preoccupo dato che non ci sono nuvole così consistenti da creare precipitazioni, ed infatti più che qualche pizzico non fanno.
Ci siamo quasi, dai, io sono in parziale crisi di qualsiasi cosa, ma la pedalata appesantita non compromette comunque gli ultimi km fatti a velocità discreta. Arriviamo assieme di nuovo al passo, è fatta! La bi-Stelvio è cosa nostra! Ma ho bisogno di mangiare qualcosa, non sono più al 100% della lucidità e una barretta rubata a Massimo mi aiuta a stargli a ruota per i primi km, dove scendo timoroso e con qualche sbavatura di troppo. La barretta fa il suo effetto e nel tratto finale prendo coraggio e scendo meglio, ma ovviamente senza prendere rischi sino a Bormio e alla macchina. Ci cambiamo, prendiamo un caffè e andiamo a sistemarci in hotel, perchè la giornata non è finita 😉
Totale del giorno: 107km, 3420m di dislivello.

Il tornante n° 48, il primo dello Stelvio


Il ghiacciaio dell’ Ortles visto dal basso


Ormai siamo già a 2300m circa


Ma ci aspetta ancora la parte più difficile


Il paesaggio è ammirevole e magnifico


Ormai è fatta, il grosso è sotto di noi


Panorama dell’ Ortles dalla vetta

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Purtroppo siamo solo noi 2, ma ormai quando sono in Valtellina è d’ obbligo andare a mangiare dalla “Giovanna”, la locanda val Grosina a Fusino, frazione di Grosio a 1200m di quota, che si raggiunge attraverso una salita piuttosto bella che taglia la montagna e che poi termina a vallata Eita. Noi affrontiamo ulteriori 600m di dislivello, ma stavolta in macchina e quando ci sediamo ci portano subito un tagliere di affettati che normalmente basta per 4 persone. Bresaola, lardo e altri salumi spariscono completamente, soprattutto per merito mio. Arrivano anche gli sciatt (praline di farina di grano saraceno fritte e contenenti formaggio fuso), anche in questo caso in quantità da 4 persone. Gli sciatt sono una droga, che peggio delle ciliege ti invitano a mangiarne uno in più. Mi trattengo a malincuore in attesa del resto, ma in proporzione un qualsiasi ristorante/pizzeria ti chiederebbe 40€ solo per gli antipasti…
I pizzoccheri sono l’ unico primo disponibile, ci rimango un po male quando non vedo il piatto trabordante, ma non si fanno problemi a portarcene un terzo. Chiediamo 5 minuti di pausa per decidere se prendere anche il secondo (a questo punto siamo già pieni), ma non ce li concedono servendoci ottimi pezzi di formaggio da arricchire col miele. Optiamo per un secondo in due, voglio solo sperare che si siano sbagliati perchè mi rifiuto di credere che quel piattone di carne di cervo marinata nel vino rosso con una ciotolata di polenta sia la metà di un piatto standard! Solo il dolce è di dimensioni comuni, ma poi arriva anche il Genepy casalingo e buonissimo, di cui riesco a farmi lasciare un assaggio da portare a casa.
Quando ci dicono il totale ci rimango male, 40€ è troppo, ma per fortuna Massimo capisce subito che il conto è complessivo e non a testa! E non vi ho nemmeno parlato del loro corposo vino rosso… Scendiamo e a Grosio seguo il consiglio di Kelios, andando a mangiare il gelato da Valentino, buono buono!
Direi che ci siamo rifocillati a dovere, abbiamo recuperato completamente oggi, e fatto pure qualche scorta per domani, che prevede Mortirolo e Gavia dai versanti ufficiali. Quando mi corico sento il bolo nello stomaco piantarsi, devo rimanere seduto in attesa che si svuoti un poco prima di dormire. Mi sveglio anche a metà notte per andare in bagno, Massimo tutto preoccupato pensa “boh, va a cacciare!“, ma in realtà ho solo bevuto dell’ acqua. E subito dopo dall’ altro letto arrivano preoccupazioni per dei rumori: “Pedra, tutto bene?” “Si, mi soffio il naso…“. Ho incontrato diversa gente che si crede una gran mangiatrice, ma dopo la cena escono sempre con frasi del tipo “ma tu sei un porco!”. Nessuno pensa sia possibile ingurgitare così tanto cibo per un ometto di 65kg in oltre 1.80m!

Domani sarà invece la mia giornata… prossimamente la racconterò!

Sciatt e Pizzoccheri

Tripletta Valtellinese, giorno 2a: Bormio – Stelvio – Santa Maria

il 06/09/2010 · Commenti disabilitati su Tripletta Valtellinese, giorno 2a: Bormio – Stelvio – Santa Maria

20/08/2010
Dai Massimo che lo Stelvio ci aspetta! Inizia così la seconda giornata, dalla finestrella del bagno il cielo sembra sereno, con solo qualche nuvola innocua verso nord. Apro le persiane e le proiezioni della toelette si confermano, salvo mutamenti improvvisi il bi-Stelvio è alla nostra portata! Alla colazione Maxi si rivela un ottimo avversario culinario, fette biscottate, frutta, brioches, biscotti e marmellata spariscono dal banco a quantità industriali, che bello mangiare così al mattino!
Prepariamo la macchina e partiamo per Bormio, le lunghe gallerie che penetrano la roccia ci accompagnano sino alla piana in cui sorge la capitale dell’ alta Valtellina, dove troviamo abbastanza facilmente parcheggio nella parte periferica. Oggi fa freschino, il cielo è comunque leggermente velato e considerate le quote indosso pure la canutiera. E via! Oggi è la giornata di Massimo, che sono anni che sogna lo Stelvio e salvo imprevisti lo assaporerà in doppia portata. Ma anche la mia, dopo i 3350m di dislivello di ieri me ne aspetto altri 3400, sul filo del mio (povero) record assoluto.

Tagliamo internamente per Bormio e ci addentriamo tra i monti. Il cartello Stelvio “aperto” ci galvanizza, ricordo la prima volta in cui l’ ho visto nell’ inverno 2009, chiuso dalla caterva di neve caduta in quell’ inverno. Sebbene questo sia il versante meno nobile, è una signora salita continua da 1500m di dislivello in 22km, al 7% medio, e notiamo già dai primi tornanti che il panorama è di sangue blu anche qui, dove splendide pareti verticali in pura roccia ci fanno sentire piccoli piccoli di fronte all’ immensità della terra, e ci spronano a sfidare il gigante. Il traffico non è nemmeno molesto, auto e moto ci sorpassano in continuazione, ma con una frequenza sopportabile che ci permette anche di affiancarci o di fermarci dall’ altro lato per delle foto.

La strada è bella e sale decisa, non fa nemmeno caldo e ci capita abbastanza spesso di superare tante persone che tentano la loro impresa anche con mtb da poco, ma noi sappiamo bene che l’ importante è arrivare, non in quanto! Ed è questa la mia filosofia, infatti mi metto a ruota di Massimo e lo abbandono solo per delle foto, ma lui pure si ferma ad aspettarmi: il giro è lungo, meglio risparmiarsi. Ad un certo punto iniziano anche le gallerie non illuminate, con qualche goccia al loro interno che ci colpisce il capo. Questo nella prima parte, ma poi le tonalità cambiano, allargandosi la valle ci mostra la seconda parte di questa salita, una tornantasi che poco ha da invidiare all’ altro versante! Massimo decide di proseguire del suo passo, mentre io mi fermo spesso sempre per fare foto, mi spiace spezzare il ritmo ma un’ occasione così è da sfruttare. Mi raggiunge anche un francese di Annecy ed uno con i pantaloni lunghi, del quale mi chiedo come faccia a non avere caldo.

Ormai la seconda parte è fatta, i numerosi tornanti sono sotto di noi, davanti invece si presenta un drittone e le costruzioni al passo, ancora in alto però… Forzo un pochino e stacco il francese, saluto Maxi quando lo sorpasso e faccio faticare quello coi pantaloni lunghi, finchè un’ altro vestito altrettanto pesante non ci supera poco prima della fine. Mancano 500m, non ci provo nemmeno a stargli dietro considerando che sono al km 22 di 106… ma raggiungo il mio nuovo amico al passo poco dopo. Mi racconta “quello è un professionista, gli sono stato dietro, ma se ci fossero stati altri 100m non ce la facevo”, ma risponto di no, non andava così forte. “Ma si, è della Katiusha!”, “Vabè si è forte, ma è una maglia”, “ma no, era Pozzato!”. I suoi soci confermano l’ identità, ed io effettivamente ricordo un giovane coi riccioli… Arriva Maxi, in tempo per fare la foto alla stele, chiedendo questo favore ad uno a caso dei tanti turisti presenti, che si godono il passo più alto d’ Italia da cui partono ottimi sentieri. Ne approfittiamo anche per dare un’ occhiata al versante dell’ Alto Adige, a quella casetta sullo sfondo a cui si arriva attraverso la serie di tornanti più famosa del mondo, e che io stimo essere a 2200m di quota (stima che si rivelerà abbastanza corretta).

Scendiamo all’ Umbrail pass, entriamo in Svizzera ed ammiriamo questo nuovo ma affascinante panorama, ci supera uno straniero che come noi si ferma per diverse foto, ma prendendo la discesa in modo più sbarazzino si allontana. Inizia finalmente il tratto in fondo naturale, un terriccio molto compatto, ma pur sempre sterrato con polvere e sassi, dove il pedalare in Oltrepò pavese mi fa prendere il coraggio per sorpassare Massimo in un tornante a sinistra, rischiando la caduta a causa dei piccoli sassi che alle auto non danno fastidio, ma che per ruote di 23mm sono destabilizzanti. Ma nessun problema, faccio il gesto del pollice su e continuo. L’ ultima parte presenta una vera trafila di tornanti ravvicinati, non si fa in tempo a lasciare i freni che bisogna di nuovo inchiodare, tutto questo sino a S. Maria, paesino Svizzero che credevo più ampio, e che invece non presenta nemmeno bar.

Ripartiamo subito dopo esserci tolti la mantellina, il tempo è ancora sereno con nuvole sparse, ma … il resto del racconto continua la prossima volta!

Vista dai primi km dello Stelvio



La seconda parte della salita, i numerosi tornanti dopo le gallerie


I tornanti dall’ alto


Panoramica della parte centrale della salita


Manca poco, il passo è davanti a me!


Massimo, Io e 3 che ho trovato per strada, a cui ho pubblicizzato il blog


Lo sterrato dell’ Umbrail pass, con i segni delle nostre biciclette


Santa Maria, da dove parte il versante meno conosciuto dello Stelvio.

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