Nel Levante genovese

il 25/01/2016 · Commenti disabilitati su Nel Levante genovese

21 novembre

Ormai siamo alla fine di questo periodo di caldo anomalo, ma ancora oggi si può rischiare una bella uscita tardo autunnale in attesa dell’ormai preannunciato stravolgimento climatico. Scordiamoci caldo primaverile e sole, ma non si può certo dire che ci sia freddo o che bisogna ormai coprirsi, anche oggi i pantaloni corti sono obbligatori per non soffrire!
L’idea originaria prevedeva un centinaio di chilometri nel Monferrato, ma col cielo coperto e con una presenza di due persone, sentito Christian decidiamo di scendere in Liguria per un giro marittimo nel levante Genovese. Io entusiasta studio un percorso che prevede l’unica salita obbligatoria del giorno, ma il socio ne ha pensato uno migliore e più flessibile, per cui faremo quello.
In autostrada troviamo pioggia, poi solo nuvoloso sino a che non sbagliamo casello finendo dentro Genova ed attraversandola tra i suoi mille incroci, passaggi pedonali e mercati urbani di una città che ruba lo spazio ai monti che la circondano. Questo errore ci fa perdere almeno un quarto d’ora, e la cosa più avanti si rivelerà molto vantaggiosa! Usciti dalla città fatichiamo a trovare parcheggio finché ci fermiamo lungo l’Aurelia presso Bogliasco.

Christian è uno scalatore puro, un po’ carente in discesa ma per me quasi impossibile da staccare quando le rampe si fanno all’insù, i piccoli avvallamenti sulla statale verso Sori non lo mettono di certo in difficoltà e sino a Recco procediamo assieme per un ottimo riscaldamento. Ma siamo a Recco, paese della focaccia e quindi paese in cui sono esperti a fabbricare una delle mie pietanze preferite, per cui scusandomi faccio un giro alla ricerca di una focacceria che nel 2010/2011 era una tappa obbligatoria delle giornate rivierasche, ma non trovandola più ripiego in un’altra nella quale prendo tre ottimi quadrati che vorrei divorare subito, limitandomi però ad uno solo di essi.

Ripartire in salita con la focaccia nello stomaco non è mai una buona idea, ma la strada che ci porta ad Uscio è sempre agevole e passa affianco a numerose tipiche abitazioni liguri che si sono inventate lo spazio su cui poggiare le fondamenta, con piccoli e disordinati cortili che danno sull’asfalto. Al paese ci arriviamo senza problemi, ma è dopo il bivio verso il passo della Scoglina che la strada si fa all’insù facendoci progressivamente faticare sinchè, alle ultime ardue pendenze, riesco addirittura a staccare il mio compare nel terreno a lui più congeniale.

Scendiamo in val Fontanabuona e vi troviamo man mano più umido, sino al punto da alzare diversi schizzi dalle nostre ruote. Forse ha appena piovuto, ma la cosa non ci può di certo fermare sebbene nessuno dei due ami pedalare sotto l’acqua. Il prossimo passo è il motivo del giro, la Crocetta via Dezerega è una di quelle ascese che a guardare i dati metterebbe paura con una media di poco inferiore al 10% e dei tratti semi-piani, una carreggiata molto stretta e pure rovinata che si avvinghia a questi monti del mare. Christian parte lanciatissimo, mentre io non forzo, ma per lui proprio non è giornata e dopo poco rinuncia al record per salire assieme a me seminando piccole voragini e rilanciando l’azione su stretti tornanti, sinchè agli ultimi ripidissimi metri non riesco nuovamente a staccarlo.

Io e la focaccia di Recco abbiamo una relazione, per cui al passo mi fermo a sbranare un quadratino che custodivo gelosamente in tasca mentre Christian osserva giustamente preoccupato il cupo cielo a levante che ancora sta scaricando pioggia. Lui sarebbe dell’idea di scendere verso il mare, ma io sono fiducioso ed il ritardo accumulato alla partenza ci ha evitato un forte acquazzone che ha infradiciato l’ambiente. In discesa pure io tiro i freni e fatichiamo a ritornare in val Fontanabuona, poi rassicurati del fatto che il peggio sia ormai passato aggiungiamo una facile ulteriore salita al Bocco di Leivi, 4km piuttosto pedalabili che superiamo senza sforzi sinché il mare non ricompare in basso davanti ai nostri occhi. In discesa riesco a sbagliare alcune curve con un’invasione di corsia, ma a Chiavari ci arriviamo sani e salvi e come usciamo dal paese ci ritroviamo in una per me inaspettata salita sull’ Aurelia con vista sul mare mosso da nubi basse indicative di un clima che sta per cambiare. Zoagli e la sua successiva salita invece me li ricordo bene da 5 anni, non è nulla di duro ma si tratta comunque di dislivello extra prima di entrare a Rapallo.

Il ritorno diretto alla macchina sarebbe troppo veloce, per cui seguo l’altro su una salita poco conosciuta che si addentra negli alti monti che sfiorano le onde, una che presenta le prime rampe ancora tra i condomini ma che presto si fa selvaggia e stretta facendoci trovare in mezzo alla natura in meno di un chilometro. La meta è San Quirico, uno di quei posti che ti fanno pensare “ma perché mai dovrei vivere qui?”, lontano da tutto e senza sbocchi a parte la strada stessa… Però per noi è un piacevole allungo che ci riporta giù a Rapallo, dislivello in più prima della nuova e successiva salita della Ruta, ma per una strada alternativa e dura nei primi due chilometri, che poi fortunatamente spiana regalando occasionali affascinanti visuali su Rapallo e sul golfo del Tigullio con colori in netto contrasto tra il grigio delle nuvole e l’arancio di un sole che mi ha regalato stupendi giri, il tutto mentre due gocce bagnano i nostri visi.

Arriviamo alla Ruta e stavolta Christian cede alle mie proposte indecenti addentando quel che resta della mia focaccia, un toccasana a fine giro! C’è ancora della discesa che ormai è quasi asciutta, poi pedalando sulla via del rientro ci teniamo il mare a sinistra e ci fermiamo, dietro mia richiesta, a Sori. Voglio risfiorare il mare, quel Ligure che oggi è bello nervosetto e si scaglia incazzato sulle rocce, con quel sole in parte oscurato che lotta per non abdicare in favore del freddo… Mi parte un pensiero su cosa sia stato per me questo ultimo mese ciclistico, su quanto questi contrasti climatici abbiano favorito dei giri emozionanti, su come alla fine abbia riscoperto il sapore di terre viste ormai troppi anni fa… Che bello, i pensieri non bastano per mantenere vivo il ricordo di giri tutto sommato normali, ma che a novembre sono “torte al cioccolato” di un menù lungo un anno. Per questo li sto scrivendo con la speranza di poterli rivivere a lungo.
Dopo questa digressione ritorniamo alla macchina abbastanza soddisfatti, abbiamo evitato fortunosamente la pioggia, abbiamo tirato ed abbiamo visto belle cose, un giro veramente ben riuscito! Qualcuno parla addirittura di neve per questa notte, chissà…

106km, 2465m

Scendendo in val Fontanabuona dopo il passo Spinarola
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Le acque in basso ed in alto viste da sopra Chiavari, a Leivi
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S.Quirico, paese sperduto sopra Rapallo
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Rapallo dalla Ruta alternativa
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Tramondo ondoso a Sori
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Sori, il giro è finito
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Bici e skyrun al monte Ebro

il 19/01/2016 · Commenti disabilitati su Bici e skyrun al monte Ebro

domenica 15 novembre

Questo novembre mi ha già regalato splendidi giri insperati, ed il clima nebbioso in pianura e fantastico in montagna non accenna a calare, per cui dopo il classicissimo ligure di ieri provo a raggiungere l’ultimo desiderio della stagione, quella salita dura che da Salogni sale sino a Bocca di Crenna con quasi 2km sterrati e pendenze degne dell’alta montagna. Ma stavolta non voglio limitarmi, per cui arrivato in auto a San Sebastiano in occasione della sua fiera del tartufo vi scarico la bici e mi infilo una borsina in spalla contenente le scarpe da trail-running.

La fitta nebbia della pianura qui arriva giusto a lambire spezzettata il cielo, la temperatura si è alzata e la giornata si prospetta molto calda, l’inizio difficoltoso spingendo la bici a mano attraverso i banchetti mi permette di individuare qualche produttore da cui acquistare qualcosa al rientro, ma adesso non ho tempo da perdere in quanto i minuti sono veramente contati, sono già le 14 e fra tre ore sarà tramonto, per cui devo sbrigarmi ed anche spingere sulla salita iniziale di Costa Ferrai, sulla quale già patisco abbastanza il caldo nonostante un abbigliamento relativamente leggero (giacca invernale, ma con canottiera leggera e pantaloni corti). Mi immetto sulla strada per Caldirola e guadagno quota sino al bivio per Salogni, paese fuori dalle rotte tradizionali e raggiunto in un lungo alternarsi di strappetti e lunghi falsopiani, con pendenze più dure solo dentro il suo abitato che supero in direzione Stalle di Salogni, l’unico bivio presente poco più avanti.

La musica cambia, la salita si fa subito cattiva ed il fondo stradale molto ruvido e spesso rovinato non aiuta affatto sulle pendenze ben oltre il 10%! Fatico, talvolta faccio tornare utile il 34×28 per salire sempre in agilità e dopo queste ripide rampe giungo alle Stalle, da cui l’asfalto abdica in favore di uno sterrato che ricordavo più compatto e che invece alterna ghiaia a tratti con pietre a vista, un largo sentiero in cui ci vuole un po’ di equilibrismo per non poggiare il piede, equilibrismo che mi manca in un paio di occasioni…
La seconda parte è più agevole, più compatta e talvolta con una striscia laterale in terra battuta che aiuta la scalata, con due camminatori che mi guardano male ed io che finalmente arrivo a questo passo incastonato tra i monti Chiappo ed Ebro.

Lego la bici alla staccionata e cambio le scarpe, ora inizia la seconda parte del giro di corsa sino ai 1700m del monte Ebro, con una salita sul crinale dai tratti ripidissimi (anche 30%) nella quale è impossibile correre ed un panorama già grandioso che dalla cima diventa epico: a nord le Alpi in semitrasparenza, sotto un oceano di nebbia che ricopre tutto sino ai 300m di quota, ai lati i vari monti, dal Giarolo più in basso al Chiappo alla stessa quota, col Lesima più in là e sullo sfondo l’Alfeo ed il Maggiorasca, quasi al confine con la provincia di Parma. E a sud un altro mare, anche se purtroppo non liquido ma ancora di nebbia, quest’oggi presente pure sul Tirreno. Vorrei non scendere più, ma il sole si sta abbassando e le luci sulla bici mi garantiscono appena una sicurezza di emergenza.

La discesa a piedi è divertente quanto la salita, cerco di non lasciarmi troppo andare a causa di problemi fisici dovuti all’attività podistica, ma le pietre ed i prati minati di cacche mi esaltano ed anche la discesa a forza di gravità mi costringe a salti, cambi di traiettoria, scivolate e sistemate della salopette ciclistica, non certo l’indumento ideale per correre. A Bocca di Crenna però non resisto, continuo verso il Chiappo almeno sino al monte Prenardo, altra ripida salita stavolta più erbosa con degli scavi anche profondi. Il panorama è simile, col muro dell’ Ebro davanti ed il Lesima più vicino. La discesa mi costringe a salti anche duri, ma è troppo bello correre così, è troppo bella la sensazione di libertà che si prova e, mi dispiace scriverlo in un blog di ciclismo, la bicicletta non porta emozioni di questo tipo (ne porta altre però!).

Ora però è tardissimo, slego la bici e noto che mi manca qualcosa: gli occhiali !!! Li ho lasciati al monte Ebro, e sono quelli della macchina in quanto quelli ciclistici li ho dimenticati a casa… Ma fra 40 minuti sarà tramonto, per cui riprendo la via del ritorno. Dopo pochi metri accade un piccolo miracolo, i due escursionisti trovati sul monte mi chiamano a gran voce ed hanno gli occhiali con loro, per cui riesco a raggiungerli e ringraziandoli recupero il mio oggetto, rompendo poi la borsa porta-scarpe nella discesa e riuscendola a tenere legata “in qualche modo”.

Lo sterrato in discesa non aiuta, ma è meno peggio di quanto me lo aspettassi dopo la salita, con la dovuta cautela lo supero senza problemi e supero anche la ripida discesa verso Salogni con un sole ormai nascosto dietro queste pendici. Non posso fare altro che spingere nei piani e disegnare bene le curve di Caldirola al calar del sole, con un arancione crepuscolare che illumina la val Curone sulla quale pedalo dovendo togliermi gli occhiali per poterci vedere meglio, e nella quale accendo comunque le luci. E’ tardissimo e all’ingresso di S.Sebastiano trovo un nebbione che copre tutto e mi butta in piena notte. Per fortuna mancano 2km, e tra illuminazione mia, pubblica e delle numerose auto incolonnate in uscita dalla fiera giungo agevolmente e senza pericolo al parcheggio per la fine di questo giro e la fine (almeno è ciò che penso) dei bei giri montani fuori stagione, che festeggierò con una visita alla fiera con qualche assaggio e vin brulée.

48km, 1330m (in bici)
4km, 265m (a piedi)

Il crinale verso il monte Giarolo, 1473m
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Crinale verso il Chiappo, col Lesima sullo sfondo
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Dovrei vedere il mare, ma questa foto è libertà!
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Giarolo sulla sinistra, nebbia ovunque
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Alle ultime luci di questo fantastico autunno
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Muro del monte Ebro
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Turchino, Faiallo, Beigua e mare

il 13/01/2016 · Commenti disabilitati su Turchino, Faiallo, Beigua e mare

14 novembre

Il mondo occidentale è stato appena sconvolto dai fatti di Parigi, io per fortuna lo sono stato meno del temuto dai commenti letti su internet a proposito del miliardo e mezzo di musulmani al mondo (commenti a dir poco banalizzanti e stupidi tipo “sono tutti terroristi”, “sterminiamoli”, “ci hanno dichiarato guerra”. E’ un problema dalle mille sfaccettature di difficile comprensione, ma in fondo invidio quelli che hanno la soluzione pronta per tutto).
Ritornando a questioni molto più frivole, io sono ancora sconvolto dalle due pizze della sera precedente (“faccio carburante per domani”) e da un clima impazzito con temperature primaverili in montagna ed una fitta nebbia che abbandono solo addentrandomi nell’ Appennino ad Ovada. Anche oggi è la giornata perfetta per prendere la macchina e trasferirsi verso la Liguria per un altro dei giri classici di queste parti, quello di Faiallo-Beigua-Turchino con una variante non ancora sperimentata.

Parto da Masone, con questa temperatura la giacca invernale su abbigliamento estivo è fino eccessiva, ma almeno è comoda in discesa.
L’inizio è quello classico che ogni anno porta i ciclisti della Milano-Sanremo a vedere il mare, 2km di salita facile fino al nuovo e più largo tunnel del Turchino che ha soppiantato quello vecchio e stretto budello che collega due mondi talvolta in netto contrasto climatico. Non oggi però, fa caldo a nord e a sud di esso, mi fa solo un’infinita tristezza vedere il passaggio storico ormai sbarrato ed abbandonato come una vecchia star che non riscuote più successo.
Il Faiallo è la naturale prosecuzione del Turchino, una continua e lunga salita vista mare, dapprima in un rado bosco e poi scoperta, una piccola strada a due corsie avvinghiata ai pendii meridionali scavati dalle forze della natura sui quali si alternano rocce spioventi ed arbusti aggrappati alle ripide pendenze. Uno dei passi più belli della zona, dai sentori alpini che riesce comunque ad emozionarmi nonostante i miei tanti passaggi. Non ho molto da dire sulle difficoltà altimetriche, sino al Bric del Dente è continua e pedalabile, poi si avvalla e lì raggiungo un biker valtellinese che come me ha sfidato la nebbia e come il sottoscritto sta andando verso il monte Beigua, ma per tutt’altra via. Raggiungiamo il passo assieme parlando di gare, podismo ed agonismo, ci salutiamo sapendo che anche a lui spetteranno strade rovinate, ma per me su un asfalto con qualche buca di troppo: ancora si leggono sui cartelli degli insulti per la scarsa manutenzione che fortunatamente hanno spronato un parziale miglioramento.

Al bivio di Urbe il giro classico prevede la scalata diretta al monte Beigua, ma stavolta provo un’ alternativa più lunga che passa attraverso La Carta, un valico che porta a Sassello e che non avevo notato nello studio preventivo del percorso, una difficoltà altimetrica non trascurabile che sale di 200m in 5km scarsi. Nulla di preoccupante, qualche tornante nel bosco su una strada poco trafficata sino all’ imbocco con la salita successiva a Piampaludo che al contrario presenta da subito pendenze decise di mio maggiore gradimento. Il bosco in formato autunnale contrasta con la temperatura piacevole circostante, vestito con la giacca sudo e proseguo con maniche sollevate e zip aperta per far traspirare il motore surriscaldato da questo tratto che termina a Veirera, altro sperduto paesello nel versante nord dei monti liguri.
Prima di ricongiungermi al classico versante scendo di quota arrivando a Piampaludo rilassato per il successivo tratto, quello eternamente in ombra orografica e vegetativa, in cui occasionali massi neri spuntano dal mare di foglie rosse su cui una striscia di bitume viene continuamente interrotta da buche grosse e piccole. Sino al rifugio del parco del Beigua è un seguirsi di strappetti e pianori, poi la fretta di finire ha fatto tracciare una riga quasi diritta verso i 1287m della vetta su cui sorgono (giustamente) una serie di antenne di trasmissione televisiva. Si deve spingere su punte de 14%, ma arrivo lassù e vi trovo due elementi tipici de posto: tanti bikers anche stranieri, che qui vengono per godersi lunghe discese sterrate, e la nebbia marittima.

Mi fermo per qualche minuto utile a reintegrare giusto qualche caloria e per delle foto, purtroppo la nuvolaglia sparsa blocca la visione del mare ed oggi c’è poco di panoramico. La discesa la ricordavo peggiore, è sempre il solito budello nel bosco tutto bucato, ma i fori sono sottili e le vibrazioni controllabili tra curve e controcurve al 10%. Ad Alpicella ritorno a vie di comunicazioni più civili e larghe che spedite mi portano all’obbiettivo solo sfiorato nei giri liguri precedenti: il mare! E’ bello e strano vederlo così da vicino, respirarne la salsedine e vedere ancora le persone in spiaggia a metà novembre! E a questo punto mi parte l’embolo, voglio anch’io fare il bagno a novembre! Ma ragionando sulle difficoltà tecniche desisto un attimo ripartendo e scalando i due capi, Piani di Invrea e Colletta di Arenzano, due salitelle facili da 60m verticali che danno pepe all’Aurelia. Ma ad Arenzano prendo coraggio e … non mi tuffo, sarebbe veramente troppo, ma appoggio bici e scarpe in spiaggia ed immergo le gambe sino alle ginocchia in un’acqua limpida ed ancora calda, è una goduria! Per pulirmi uso l’acqua della borraccia e poi coi piedi ancora umidi mi rimetto le scarpe e pedalo salato sino a Voltri, all’addio (o arrivederci?) alle spiagge e all’imbocco del Turchino, che nel versante ufficiale è una salita da 500m continua e molto frequentata, ma che ha una sorella molto più desolata ed affascinante attraverso Acquasanta.

L’inizio è un budello lungo il torrentello ononimo, il paese invece è un centro termale con vasche all’aperto, un enorme santuario ed un impressionante viadotto ferroviario in muratura. Una visita superficiale è obbligatoria, poi riempio la borraccia precedentemente usata per lavarmi dalla sabbia e riparto per la seconda e ben più dura parte attraverso i boschi che qui crescono indisturbati. Il cielo si è fatto nuvoloso ma la parte selvaggia della Liguria si tiene in mostra nei tratti più scoperti, con qualche occasionale casa isolata che interrompe la monotonia e che mi interroga su chi possa volere vivere qui, quantomeno per la scomodità della posizione. Il mio primo passaggio risale al 2008, ed oggi è il secondo. La stanchezza si fa sentire, ma la fine sempre più vicina è di conforto ed il passo arriva all’ improvviso e senza cartelli. Panorami zero, da qui manca veramente poco al rientro a Masone, 3km di sola discesa.

E’ fatta, questo altro grande classico rivisto è completato ed è forse migliore dell’ originale! Mi cambio quasi tutto in piazza davanti ad un bar, e poi giustamente mi gratifico con una merenda brioche più caffè, prima del rientro nella densa e terribile nebbia abbandonata in pianura. La prossima settimana dovrebbe far brutto, ma per domani ho già un’idea particolare…

104km, 2400m

Il Turchino così fa tristezza
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Panoramica salendo al Faiallo
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Altra panoramica del passo Faiallo
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Foglie di un autunno che non c’è al monte Beigua
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Le antenne poste in cima al monte Beigua
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Il bagno in mare era obbligatorio!
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La spiaggia a Cogoleto
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Viadotto ferroviario ad Acquasanta
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San Martino a Pentema

il 09/01/2016 · Commenti disabilitati su San Martino a Pentema

7 novembre

Il regime di anomalo anticiclone continua a far presa sull’ Italia ed anzi si è ulteriormente rinforzato rispetto ad una settimana fa, mentre in pianura al mattino fa relativamente fresco sui monti c’è una temperatura forse tipica di settembre, tanto che alla partenza ho ancora l’abbigliamento estivo e dopo pochi minuti mi tolgo pure il gilet leggero per non estrarlo più sino alla riapertura finale della portiera.
Stavolta mi spingo ancora più avanti in questa trasferta, la partenza è a Busalla e l’obbiettivo del giorno è la salita della val Pentemina, mai affrontata sia per la distanza da casa sia per l’asfalto occasionalmente assente. Il cielo nell’ Appennino Ligure è blu, gli alberi gialli faticano a perdere le foglie in vista del sonno invernale e questo caldo sta facendo uscire dal terreno tutta l’umidità accumulata tanto che i tratti in ombra sono bagnati come se avesse piovuto, perciò dovrò fare attenzione ai giochi delle ombre durante le discese magari parzialmente coperte dalle foglie.

La prima salita verso Crocefieschi è stranamente per me inedita, tornanti decisi su un asfalto nettamente migliore di quelli oltrepadani mi portano a questo paese tra i boschi liguri nel quale incrocio un trail-runner con zaino idrico che mi ricorda i piccoli vantaggi di essere quasi fermo con l’attività podistica. La discesa verso la val Brevenna ha un punto con 8 tornanti in 900m, peccato che l’umidità sudata dall’asfalto mi spinge ad una certa prudenza che non permette di divertirmi a dovere, mentre il resto è più rettilineo con un breve tratto bagnato in prossimità del torrente chiuso tra le fila di bassi monti. La seconda salita l’ho inserita principalmente per non passare due volte sulla stessa strada, infilandomi in una straduncola nel bosco attraverso frazioncine come Cavanne e Gorra che sono infilzate da pendenze a doppia cifra in una sede viaria in cui gli occasionali incroci veicolari richiedono ad entrambe le parti di rimanere ben sulla destra. La discesa è della stessa tipologia della salita, con la mia attenzione a non farmi sorprendere dalle chiazze d’acqua e riuscendo a trovare la via corretta in due occasioni solo grazie alla traccia caricata sul Garmin.

Scendo a Montoggio ai lati dello Scrivia, ma ci rimango talmente poco da non rendermene conto sovrastato dall’ ambiente selvaggio della val Pentemina, poco più di un ruscello che ha scavato uno stretto letto tra i monti su cui questa strada si arrampica. L’inizio è asfaltato tra abitazioni e buche, giusto per ricordarmi cosa mi aspetta, ma poi inizia la parte più selvaggia, quella che non ricordavo e che è di uno sterrato veramente difficile, con terra compatta e bagnata e scivolosi sassi incastrati in essa, con qualche canaletto scavato dalle piogge e passaggi in cui è stato difficile rimanere in sella. Non la ricordavo così, per fortuna dopo un ponticello le ruote ritornano a far presa sull’ asfalto, con qualche colpo di troppo dovuto ai sassi o alle buche nascoste dal giallorosso fogliame autunnale. E’ vero che questa stradina insignificante rispetto a ciò che la circonda è asfaltata, ma saremmo veramente oltre al limite della decenza se non fossero così sperduti i posti in cui porta!

Ed il posto più di tutti lontano dalla civiltà è Pentema, paese del 1800/inizio 1900 con case e strette vie centrali costruite tutte con materiale locale: la pietra. Mi fermo e mi avventuro dentro di esso con la bici a mano, ma salire su queste pendenze lastricate è di suo un’impresa e farlo con tacchette e bici sollevata di forza richiede un impegno non indifferente. Visito il paese in lungo ed in largo, passo affianco a delle piccole trattorie in cui i pochi avventori mi inquadrano subito come uno “straniero” per via dell’accento lombardo/emiliano (la R moscia parmense ereditata), discendo una scalinata avvinghiato alla corda passamano, mi invento strane posizioni per mettere il peso a monte, ma ritorno sulla strada in salute per riprendere a salire sino al valico a 1150m. Qui è proprio bello, si vede il mar Ligure col sole specchiato su di esso, con la foschia delle quote più basse e con una temperatura che non mi fa nemmeno usare il gilet in discesa. Non che abbia caldo, ma se il 6 novembre scendo da 1150m in abbigliamento estivo più canottiera allora c’è qualcosa che non va col clima…

Torriglia, capitale dell’ Appennino genovese e punto di incontro delle valli Trebbia e Scrivia, è il posto ideale per riempire la borraccia e per scendere verso il passo dello Scoffera che raggiungo per la via vecchia, una salita pedalabile ed ombreggiata, e quindi ancora ben bagnata nonostante non piova da alcune settimane. Il modo più veloce per scendere a Genova è attraverso la classica statale, ma io svolto a destra per l’ alternativa di Davagna, un lungo falsopiano curvilineo che segue le forme della montagna evitando il traffico, soltanto la parte finale si può definire ‘discesa’ con alcuni secchi tornanti in vista della periferia coi suoi grossi palazzoni che rubano spazio al Bisagno.
Rimango poco in città, davanti a me una lunga e classica salita sino a Creto, con un inizio tra altri palazzi che si inventano spazi in un’orografia nervosa ed una continuazione in un ambiente più naturale sino all’ attraversamento di Aggio, con tornanti molto stretti sollevati da pilastri in muratura. Mi fermo all’ultimo largo tornante per delle foto, la fatica sta cominciando a farsi sentire ma rispetto alle scorse settimane la gamba e l’andatura sono migliori, e svalico quindi a Creto coi vecchi ricordi di quando ho pedalato qui anni fa con Massimo.

Come per tutte le salite che partono dal mare, la discesa dell’altro versante è molto più breve e semplice, l’unica difficoltà è climatica e la trovo ad Acquafredda, al punto di subire per 300m uno shock termico di diversi gradi, prima di ritrovare una situazione gradevole in valle Scrivia. E’ quasi fatta, ma devo pedalare in falsopiano superando Casella e, volendo (ed io voglio), c’è l’ultima salita inedita di giornata, quella di Savignone che ho percorso in senso inverso una settimana fa. La fatica è tangibile con le pendenze che inialmente mi stimolavano ora sono un supplizio che voglio terminare e che finisce al valico verso Sarissola, prima di una breve discesa e dell’ arrivo alla macchina riuscendo a battere negli ultimi metri il partner virtuale caricato sul Garmin, quello impostato per andare sempre a 23kmh ma senza le deviazioni e i bivi mancati, quindi senza i chilometri extra tra errori e Pentema. Voilà la piccolissima soddisfazione nel vedere il mio pallino davanti al suo!

Ed anche questo giro è andato, e chissà se il prossimo weekend sarà ancora così buono (ma pare di si, ed ora che scrivo e che stai leggendo sai già che ci saranno altri racconti). Però la giornata di oggi è stata veramente soddisfacente, tanto che mi premio con brioche e caffè al bar prima di ripartire.

103km, 2330m

E’ autunno, anche se dalle temperature non si direbbe
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La strada di Pentema è spesso in cattive condizioni
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Pentema, dopo una approfondita visita
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Il mare dai 1100m di quota, nella quale si sta benissimo coi vestiti estivi
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Genova da Cavassolo, prime alture verso lo Scoffera
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L’ultimo largo tornante di Creto
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Guardia, Bocchetta ed altre genovesità

il 02/01/2016 · Commenti disabilitati su Guardia, Bocchetta ed altre genovesità

31 ottobre

Questo fine stagione sta assomigliando a quello dello scorso anno, con temperature fin troppo gradevoli per il periodo ed alcuni dei migliori giri a ll’ inizio del mese tipicamente dedicato al riposo. Purtroppo questa volta non sono in Trentino per lavoro e devo ripiegare su piccole trasferte in un territorio che adoro, quello dell’ entroterra ligure, ripercorrendo strade che da troppi anni non mi vedono protagonista.

La partenza è strategicamente davanti al negozio di biciclette di Arquata Scrivia (si sa mai…), una brezza ancora fresca da nord mi spinge nella risalita della valle Scrivia laddove l’ Appennino si richiude su se stesso e la strada quasi piana si inventa passaggi arditi tra le verdi montagne ed il profondo fiume, attraversando paesi colorati che già hanno il sapore di Liguria. Arrivo facilmente a Busalla, da cui approccio la nuova salita di Savignone, tutta su asfalto molto più bello di quelli a cui dolente ho fatto l’abitudine e con tratti ripidi che prendo sovraritmo, trovandomi al valico con il già troppo acido lattico di chi si rimette in sella dopo una settimana di stop. Scendo nuovamente in valle Scrivia prima del secondo facile passo odierno, la Crocetta di Orero che con una lunga e facile discesa tagliata occasionalmente dalla ferrovia Genova-Casella arriva a Bolzaneto, quartiere alto di Genova.
Ora inizia il divertimento vero e proprio, davanti a me una delle salite più famose della Liguria che con 700m verticali in 8km arriva al santuario della Madonna della Guardia, salita che si indurisce strada facendo e che trafigge negli ultimi 200 ripidi metri in pavée. Parto con un poco di riserva, ma le sensazioni di una settimana fa sono riconfermate ed anche oggi fatico troppo a tenere i miei soliti ritmi, tanto che non riesco nemmeno ad eguagliare il mio record ottenuto nel 2008 (quando la gamba era un gradino sotto). C’è una bella tramontana che infastidisce e nella quasi deserta vetta fa fino freddo, ma la cosa non mi impedisce di rimanere qualche minuto ad ammirare un mare parzialmente offuscato sul quale il sole di mezzogiorno si specchia mandandomi i suoi luminosi raggi.

Confesso che in discesa mi fanno comodo i guanti lunghi, che però tolgo a Campomorone all’imbocco dell’altro ‘must’ della zona, il passo della Bocchetta, più facile della sua sorella ma comunque dura, con punte oltre al 10% e 650m di differenza altimetrica. E come per la Guardia soffro, non in maniera eccessiva ma fatico ben più del previsto.
Il versante nord è più freddo e in ombra, a Voltaggio passo accanto ai lavori del “terzo valico” (la Genova-Interporto Gavio, la cava di amianto, l’opera più inutile di Italia, la “ho pagato anch’io le mie tangenti”, o chiamatela come volete) e la strada verso Gavi è tutto un alternarsi di lavori “di compensazione” (chissà se anche qui l’assegnazione ha girato in tangenziale?), per fortuna a Carrosio abbandono la val Lemme per una salita che ho scoperto da pochi mesi e che passa affianco a dei bellissimi calanchi grigi che sfiorano l’asfalto verso Sottovalle, una salita non dura sulla quale comincio ad essere stanco. Una discesa di differente pendenza mi riporta giù in val Scrivia, mancano solo pochi chilometri controvento per arrivare alla fine di questo soddisfacente giro di fine stagione.
104km, 2200m, e la possibilità di replicare fra 7 giorni

La ferrovia che sale da Genova a Casella
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Panorama sulla Valpolcevera dal monte Figogna, sul quale sorge il santuario della Madonna della Guardia
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La parte anteriore del santuario
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Il mar Ligure a mezzogiorno
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Calanchi tra Carrosio e Sottovalle di Arquata Scrivia
genovesita 014
Altri calanchi dopo Sottovalle
genovesita 099

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