Panorami incredibili al monte Lesima

il 11/09/2017 · Commenti disabilitati su Panorami incredibili al monte Lesima

3 settembre 2017

Le precipitazioni del giorno precedente hanno pulito l’aria, la giornata è classificabile solamente come “limpida” ma è perfetta per un trail sino al monte Lesima, vetta che dai suoi 1724m offre notevoli panorami disponibili anche ai ciclisti che affrontano le sue dure rampe finali.

Siamo in 4, io Elisa e le nuove conoscenze di Federica e Lorenzo che già conoscono i sentieri ma ne approfittano per un’escursione degna di nota.Partiamo da Bocco subito in salita durissima, i primi 2km verso cima Colletta hanno una pendenza attorno al 23% tra pietra e bosco, ma da lassù la vista è ottima, la valle Staffora è piccola ed intera di fronte a noi e Lesima e Penice svettano rispetto alle altre cime di questo ultimo lembo di Lombardia. Non è limpidissimo dicevo, ma possiamo distinguere i grattacieli di Milano ed intravedere tutte le prealpi.

Si sale verso Cima Colletta
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Valle Staffora da Cima Colletta
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E si corre verso la vetta del Lesima
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Continuaimo in singoli sentieri con saliscendi talvolta coperti da un denso bosco e talvolta con tratti in discesa tecnici in cui balziamo da roccia a roccia. Il Lesima si avvicina maestoso, ma per raggiungerlo abbiamo davanti un ripido strappo sino all’antecima del Tartago, dalla quale ci sentiamo già i padroni dell’ Oltrepò. L’ultima rampa è in comune coi ciclisti e ben nota al sottoscritto, ma mai avrei pensato di riuscire a correre ammirando il mar Ligure dalla provincia di Pavia! Ed invece la linea blu del mare è ben visibile laggiù e dalla vetta si apre una vista incredibile che solo questo monte sa regalare.
Il mare non è appena intuibile, è molto nitido e la visuale ampia si spinge sino al golfo di Savona solcato da una nave da crociera. Ma non solo, vediamo due figure rocciose che inizialmente confondiamo con la Corsica e, addirittura, l’isola d’Elba! Col senno del poi scoprirò trattarsi delle Isole di Capraia e Gorgogna, più vicine ma pur sempre facenti parte dell’arcipelago toscano, mica bruscolini! Le Alpi non sono nitide, ma già distinguiamo quelle del bresciano e quelle piemontesi, e non ci sono solo loro ma anche i “nostri” monti Chiappo, Ebro, Giarolo, Tobbio, Maggiorasca, le valli della zona tra cui la bellissima Trebbia, i paeselli protetti da questi alti monti ed un dirupo così ripido da fare impressione. Qualcosa che rasenta il nirvana, qualcosa che se non fosse per il primo fresco autunnale avremmo ammirato a lungo.

Ci siamo quasi!
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Wow che vista
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Eccoci noi 4
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Ed invece dobbiamo scendere, siamo vestiti troppo leggeri e manca ancora molto alla fine, seppure sia quasi tutta discesa. Ma mentre in bici la discesa è riposo, a piedi è solo ulteriore fatica e tecnica per decidere dove mettere i piedi mentre si è al 30% su pietre e sassi. Il rischio storta è sempre dietro l’angolo e bisogna fare attenzione, ma poi ritornando nel bosco il sentiero diventa più agevole e riusciamo a scendere meglio nonostante le vacche libere al pascolo.Faccio scoprire agli altri dei bei tagli che evitano il bitume ed arriviamo velocemente a Corbesassi da dove ci mancano solo alcuni chilometri
di leggera salita che però, complice la stanchezza, scorrono piuttosto lenti.
Alla fine saranno 18,5km e 1100m d+, inimmaginabili in bici ma con panorami veramente super

Ora si scende, spettacolare anche da qui
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Mucche in libertà
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Corbesassi, manca ancora qualche km
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A piedi al monte Penice (con annessa caduta)

il 25/08/2017 · Commenti disabilitati su A piedi al monte Penice (con annessa caduta)

Un mese di agosto sfigato questo, prima un problema ad una rotula, poi un altro problema alla stessa rotula e quindi niente bici, solo passeggiate o corse talvolta sterrate e talvolta con bei dislivelli come questa qui.
Vista la tranquillità eccessiva in ufficio ho preso una mezza giornata di ferie per un bel trail in montagna. La mia montagna, non la roccia delle Alpi o la maestosità delle Dolomiti, ma pur sempre quote sino ai 1460m del Penice, vetta da cui partono i segnali televisivi di mezza Lombardia.
Siamo in tre, con me ci sono Federico un istruttore di trail e buon conoscitore della zona e Davide al suo primo trail con scarpe da strada.

Il percorso inizia facile da Menconico su vie battute, la salita si fa sentire ma non è mai cattiva ed arriviamo facilmente al primo ristoro idrico (fontana) di Carrobiolo, poi si cambia ed è solo grazie alla traccia che non ci perdiamo in strade agricole talvolta poco battute. Un lungo pezzo corribile ci porta al passo Scaparina alle pendici del monte, ora si inizia a fare sul serio con ripidi passaggi in un fitto bosco di conifere (un km al 20% per intenderci) fino a reimmetterci in un tratto ripido e tecnico che lo stesso Federico aveva proposto a scendere in una gara nel 2015. L’ambiente cambia all’improvviso, il bosco lascia spazio ai prati ed il santuario circondato dalle antenne RAI è proprio davanti verticale a noi che, da buoni cinghiali, saliamo dalla direttissima.

Si sale già da subito20170823_153228Ora nel fitto bosco della Scaparina
20170823_161551L’ultima rampa
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Il panorama è sempre bello, si vedono Bobbio (PC) col suo ponte gobbo sul Trebbia, Romagnese, Varzi, gli alti Appennini ed un pezzo di pianura sin dove la foschia permette allo sguardo di vagare. La salita è finita, vediamo un taglio a lato del santuario e mentre Davide mi chiede “te la senti?” io già mi lancio in un pezzo tecnico che ci permette di tagliare la strada asfaltata. Qui c’è da divertirsi tra rocce, erba e pendenze ripide, ed io mi esalto. Ritorniamo alle pendici del monte in maniera più agevole e poi, grazie ad alcuni suggerimenti di Fede, abbandoniamo il mio itineriario per giungere diretti a Varsaia alla terza fontana.

Antenne RAI e monte Alpe
20170823_164440Bobbio e la val Trebbia
20170823_164451Noi tre
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E ora giù di nuovo, siamo in un fitto bosco con alcune pendenze che precedono la discesa, quella vera, quella che ricorda le più pure Alpi: 20/25%, sassi, saltini, curve, io spavento tutti prendendo dei distacchi considerevoli ed arrivo ad una curva sconvolto, è il momento di maggiore affanno del giorno ed è in discesa. Ripartiamo, in un pezzo tecnico non so cosa succede esattamente ma il piede rimane incastrato ed io, già abbassato in avanti per evitare una pianta, cado di peso sulle braccia, un colpo secco che si ripercuote sulla lucidità. Per fortuna siamo quasi arrivati, mi pulisco ad una fontana ma oltre a diversi graffi ed ematomi ho anche due piccole ferite profonde che mi suggeriscono una visita al pronto-soccorso.
Varzi è un paesino che ha (fortunatamente ed almeno per ora) un piccolo ospedale, ma oggi è una giornata terribile e c’è fila per quei pochi medici presenti. Niente di grave, nemmeno un punto di sutura e solo dei cerotti adesivi, ma rimane la frustrazione per un periodo in cui sono pieno di acciacchi più o meno volontari.

In compenso il giro è stato bello, vario, panoramico, Davide se l’è cavata bene e siamo rimasti tutti contenti in questi 15,5km e 900m d+

Pezzo di contropendenza
20170823_171900Discesa ripida e tecnica
20170823_172353I danni della caduta
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Winter trail di Langhirano (PR)

il 16/03/2016 · Commenti disabilitati su Winter trail di Langhirano (PR)

So che questo è un blog ciclistico, ma ultimamente per una serie di motivi sto correndo parecchio, e da buon scalatore prediligo salire anche a piedi. Ma si tratta pur sempre di “giri e salite”, per cui concedetemi qualche strappo tematico dai!

Venerdì, ore 16.
Mi arriva uno strano messaggio da Marco, mi chiede se posso sostituirlo al “Winter trail dei castelli di Langhirano (PR)“, una gara di coppia in notturna con partenza alle 18:00, una mezza-maratona quasi tutta su sterrato e con 800m dislivello in cui bisogna arrivare assieme al compagno di avventura. Io sono titubante, non ho l’attrezzatura idonea e questa proposta così all’ultimo mi spaventa, ma alla fine l’idea è troppo stupida per non accettare! Correrò con Manuela, donna ligure dedita anche al triathlon trasportata dai contatti comuni con Marco. Riesco a fare il viaggio con Paolo e Michele, Langhirano non è propriamente dietro l’angolo e quando arriviamo troviamo un clima più nuvoloso (che però non minaccia pioggia) e più fresco rispetto alla primavera di Voghera, ma anche qui la temperatura è gradevole. Al ritiro dei pettorali conosco Manuela ed anche Davide e Barbara, lascio il certificato medico agli organizzatori e tutti e sei andiamo alla ricerca di un bar per un caffé pre-gara. So che per me non sarà una gara al limite, ma l’ansia sta salendo e tanti dicono che ci sarà molto fango.

L’unica vera e grande pecca di questa gara è la distanza tra la partenza ed il ritrovo, per qualche motivo si finisce davanti alla palestra ma si parte lontani un chilometro davanti al municipio, sicuramente un contesto molto più scenico ma che ha creato diversi disagi a tutti gli atleti. Io sono ancora negli spogliatoi che sto decidendo con cosa vestirmi, lunghi o corti, canottiera pesante o leggera? La temperatura scenderà ed in cima troveremo la neve, ma sono anche una stufa umana, per cui via di pantaloni corti e coi guantini leggeri da usare al bisogno. Ma… le calze dove sono? Non le ho prese porca troia! Pazienza, userò quelle normali che però sono più leggere, ma Paolo mi salva prestandomi le sue, grazie!
E poi panico, ho perso Manuela e corricchio sino alla partenza nella speranza di incrociarla, ma poi sotto l’arco sono già tutti scalpitanti ed ammassati e non la vedo. Ed ora come faccio, parto a cannone e la aspetto o la cerco ancora sgomitando con gli altri? Ci troviamo all’ultimo, menomale, nellì aria c’è un misto palpabile di tensione ed euforia dei 400 partecipanti per questo percorso duro e molto scivoloso nei confronti di quella che per molti sarà un’ autentica avventura!

Noi sei ancora allegri ad un’ora dalla partenza
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Carichi alla partenza, io controllo il gps che ancora non ha agganciato
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10.. 9..8.. via! Al suono degli AC/DC si parte in quel caos di 200 atomi che formando legami lievi si allontanano e si riavvicinano ordinandosi secondo la legge del più forte sulla salita iniziale asfaltata, con scalinate fino ad uscire dal paese verso le sue ultime abitazioni più rialzate rispetto alla valle Parma. Il fiato di tutti si fa pesante, si parla meno e questa partenza a freddo sta facendo male a molti compresa la mia compagna che sta patendo il mancato riscaldamento. L’asfalto finisce e nelle ultime diroccate cascine c’è una lunga serpentina umana che corricchia o cammina su pendenze già dure e su un terreno fangoso, cercando assieme la via più pulita mentre un gregge di pecore ci guarda incuriositi.
I primi sono già ben davanti, ma a volgere lo sguardo indietro non si vede la coda ed io approfitto delle ultime luci per delle foto, recuperando Manuela e sorpassando gli altri con una facilità che trovo quasi fastidiosa, come dire “guardate che io sono forte” quando in realtà si tratta di uno scatto breve di qualche manciata di secondi. Saliamo tra campi immaltati con peripezie per evitare le pozzanghere, c’è chi usa i bordi dei fossi e chi sale sul campo, io ci provo ma nel reimmettermi in carreggiata sbando e scivolo nel campo sottostante, faticando a fermarmi e a rientrare su questa via agricola. E come diceva qualcuno, il peggio deve ancora venire… C’è un attimo di discesa e la triathleta ligure si lancia, ma poi ri risale e le scarpe cominciano a faticare a fare presa su un terreno ammorbidito dalle recenti precipitazioni.

Partiti!
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Si sale duri già all’inizio
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Cascine e pendenze
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Si cammina per forza
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Il peggio arriva ora, alle pendici del monte Milano (ma passiamo veramente lì? ma sono fuori?): sentierino da cinghiali nel bosco, mezzo metro tra gli alberi in cui basta un passo per ritrovarsi a terra, in cui bisogna salire aggrappati agli alberi o cercare vie alternative meno calpestate, nel quale mi trovo subito a pancia in terra e salgo affondando le mani nella madre terra. Bene però, il peggio è andato o almeno così penso, finché non ci troviamo davanti ad un segmento ancora peggiore, con un serio rischio caduta nel quale si mostra la solidarietà con spintarelle e mani tese, o col sottoscritto che per evitare un ruzzolose si aggrappa ad una pianta, spezzandola e lanciando via il tronco dal percorso. Si deve salire così, è poco attinente al running però è divertente! C’è anche chi nota delle cataste di legna ai lati e ne approfitta per “prendere in prestito” dei lunghi rami da usare come ramponi, una bella idea che tento di seguire, se non che il mio arriva a malapena a 50cm, quasi sufficenti però per darsi una mano quando la schiena rimane inarcuata a causa delle pendenze. Per fortuna le difficoltà calano e proseguiamo in una lunga fila su uno scivolosissimo single track in cui noto che le mie scarpe hanno un grip minore della media, ogni passo in pendenza è una mezza scivolata e già le leggere inclinazioni laterali mi inducono alla prudenza, mentre in queste difficoltà Manuela riesce ad avvantaggiarsi e solo grazie ad una forza maggiore riesco a starle a dietro. Come se non bastasse troviamo anche la neve, ma ha più aderenza del fango e dalle orme presenti capisco che diversi hanno scelto questa alternativa.

Svalichiamo il monte, ma la discesa è quasi una fotocopia della salita, con sentierini ripidissimi in cui è impossibile stare fermi, io scendo di prudenza con anche le mani a terra, c’è chi perde i bastoncini e chi scivola di culo, c’è Manuela che va avanti ed io invece me la cavo andando perpendicolare, almeno sino ad un punto ancora peggiore, e qui non ci sono soluzioni alternative a quelle scelte da tutti: si poggia o delicatamente o di botta il sedere a terra e si scivola giù superando anche qualche curva come fossimo degli slittini umani. Scontri, atterraggi sugli altri atleti, vestiti completamente sporchi e la mia paura perdere il pettorale col chip incluso prima del traguardo grazie a due spillette già perse nel tentativo di rimanere in piedi.

Usciamo dal bosco infernale, ormai è ben buio e le luci di Langhirano e della pianura scintillano sotto una falce di luna che illumina i campi ancora innevati, io ho completamente perso di vista la mia compagna ma se non si è persa è ben davanti a me, perciò… urlo “a BOMBAZZA!” e mi lancio a 20 all’ora nella neve tirando a tutta e superando diversi atleti, balzando sopra grosse pozzanghere, cercando  la traccia migliore ed eludendo i punti peggiori con passaggi nei campi alla disperata rincorsa che, da tanto che è lunga, mi fa temere di non averla vista… Ma tutto è bene ciò che finisce bene, e scoprirò che aveva guadagnato ben 50″ !

(C’è anche un video in cui mi hanno ripreso, e in cui in sottofondo mi si sente urlare al minuto 2:00 https://www.facebook.com/traildeicastelli/videos/vb.562044763941275/825317637613985/?type=2 )

Ora sto ben attento a non farmela più sfuggire, cerco di starle appena davanti ed indicarle la via nel fango o eventualmente nei campi. Il fondo è morbido ed attutizza i colpi sulle decine di gambe che cominciano a provare una certa stanchezza, calano le parole ed aumentano i “santi volanti” quando troviamo ruscelli o pozzanghere invalicabili sul nostro percorso, ma io ormai la prendo con filosofia che tanto più sporchi di così non si può, e allora via di prepotenza nell’acqua con gli schizzi sin sopra alla testa!
Le difficoltà continuano, c’è ancora una bella salita fortunatamente con qualche roccia che affiora su cui fare presa, e Manuela si è ristabilita dalla partenza a freddo ed ora riesce a tenere un buon passo. Niente più slittino dalla cima, il percorso continua su strade agricole fangose che a tratti diventano solo piacevolmente umide e che solo nei peggiori punti mettono in difficoltà l’aderenza delle suole, col più furbo di tutti (eufemismo) che pensa bene di usare il palo segnaletico del percorso come rampone, togliendolo dalla sede e spaccandolo… Che imbecille!
Strada che ad un certo punto sfocia nella civiltà impattando con la dura realtà dell’ asfalto, che adesso fa male ai piedi. Sfioriamo il ristoro e un bicchierino di cola ci vuole, poi coi biscotti in bocca mi rilancio all’inseguimento dell’altra metà della squadra e riprendiamo a scendere tra campi di grano e Langhirano illuminato più in basso.

Il terreno cambia, ora è più asciutto con quell’ argilla che forma velocemente un blocco sotto le suole, io attendo solo il momento in cui una scarpa rimarrà incastrata mentre scalcio lanciando zolle per aria. Manca poco e ci sono giusto un paio di infidi strappi sul percorso, abbandoniamo anche il comune denominatore di questa gara zampettando pesanti su terreno duro, veloci con la forza di chi vede l’arrivo superiamo diverse coppie ed arriviamo a Langhirano con lo scatto d’orgoglio di Manuela ed il mio sorriso per aver terminato questa incredibile avventura!

Le gambe sono completamente marroni sino al ginocchio, chi arriva è piuttosto provato e non vede l’ora di togliersi i chili di troppo nelle docce. L’organizzazione ha pensato a tutto fornendoci anche un sacco per le scarpe, per cui un minimo ristorati ci sediamo tutti e sei a tavola con un piatto di prosciutto ed uno di ravioli compresi nell’ iscrizione, e delle caraffe da 1lt di birra che ben presto si esauriscono. Paolo e Michele sono andati piuttosto bene, le premiazioni sono poche ma i vincitori sono tanti, quasi 400! E’ fino un peccato dover tornare a casa, ma gli altri avranno una domenica impegnativa, e per fortuna che all’uscita del paese mi ricordo che abbiamo lasciato i certificati medici agli organizzatori e facciamo in tempo a raccoglierli senza troppa strada extra!

Che dire… Un’improvvisata resa mitica dalla situazione ambientale molto sporca e da un clima buono, una gara per me sottoritmo e per questo veramente goduta sotto ogni suo aspetto, una bella compagnia ed un’organizzazione eccellente nei bivi, nel percorso, nei ristori ed in tutto il resto, peccato solo per la partenza distante dall’arrivo che scombussola la preparazione. BRAVI!

All’ arrivo!
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Stanchi e felici per questa impresa
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Poco fango eh…
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Ma il terzo tempo ripaga tutte le fatiche
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Bici e skyrun al monte Ebro

il 19/01/2016 · Commenti disabilitati su Bici e skyrun al monte Ebro

domenica 15 novembre

Questo novembre mi ha già regalato splendidi giri insperati, ed il clima nebbioso in pianura e fantastico in montagna non accenna a calare, per cui dopo il classicissimo ligure di ieri provo a raggiungere l’ultimo desiderio della stagione, quella salita dura che da Salogni sale sino a Bocca di Crenna con quasi 2km sterrati e pendenze degne dell’alta montagna. Ma stavolta non voglio limitarmi, per cui arrivato in auto a San Sebastiano in occasione della sua fiera del tartufo vi scarico la bici e mi infilo una borsina in spalla contenente le scarpe da trail-running.

La fitta nebbia della pianura qui arriva giusto a lambire spezzettata il cielo, la temperatura si è alzata e la giornata si prospetta molto calda, l’inizio difficoltoso spingendo la bici a mano attraverso i banchetti mi permette di individuare qualche produttore da cui acquistare qualcosa al rientro, ma adesso non ho tempo da perdere in quanto i minuti sono veramente contati, sono già le 14 e fra tre ore sarà tramonto, per cui devo sbrigarmi ed anche spingere sulla salita iniziale di Costa Ferrai, sulla quale già patisco abbastanza il caldo nonostante un abbigliamento relativamente leggero (giacca invernale, ma con canottiera leggera e pantaloni corti). Mi immetto sulla strada per Caldirola e guadagno quota sino al bivio per Salogni, paese fuori dalle rotte tradizionali e raggiunto in un lungo alternarsi di strappetti e lunghi falsopiani, con pendenze più dure solo dentro il suo abitato che supero in direzione Stalle di Salogni, l’unico bivio presente poco più avanti.

La musica cambia, la salita si fa subito cattiva ed il fondo stradale molto ruvido e spesso rovinato non aiuta affatto sulle pendenze ben oltre il 10%! Fatico, talvolta faccio tornare utile il 34×28 per salire sempre in agilità e dopo queste ripide rampe giungo alle Stalle, da cui l’asfalto abdica in favore di uno sterrato che ricordavo più compatto e che invece alterna ghiaia a tratti con pietre a vista, un largo sentiero in cui ci vuole un po’ di equilibrismo per non poggiare il piede, equilibrismo che mi manca in un paio di occasioni…
La seconda parte è più agevole, più compatta e talvolta con una striscia laterale in terra battuta che aiuta la scalata, con due camminatori che mi guardano male ed io che finalmente arrivo a questo passo incastonato tra i monti Chiappo ed Ebro.

Lego la bici alla staccionata e cambio le scarpe, ora inizia la seconda parte del giro di corsa sino ai 1700m del monte Ebro, con una salita sul crinale dai tratti ripidissimi (anche 30%) nella quale è impossibile correre ed un panorama già grandioso che dalla cima diventa epico: a nord le Alpi in semitrasparenza, sotto un oceano di nebbia che ricopre tutto sino ai 300m di quota, ai lati i vari monti, dal Giarolo più in basso al Chiappo alla stessa quota, col Lesima più in là e sullo sfondo l’Alfeo ed il Maggiorasca, quasi al confine con la provincia di Parma. E a sud un altro mare, anche se purtroppo non liquido ma ancora di nebbia, quest’oggi presente pure sul Tirreno. Vorrei non scendere più, ma il sole si sta abbassando e le luci sulla bici mi garantiscono appena una sicurezza di emergenza.

La discesa a piedi è divertente quanto la salita, cerco di non lasciarmi troppo andare a causa di problemi fisici dovuti all’attività podistica, ma le pietre ed i prati minati di cacche mi esaltano ed anche la discesa a forza di gravità mi costringe a salti, cambi di traiettoria, scivolate e sistemate della salopette ciclistica, non certo l’indumento ideale per correre. A Bocca di Crenna però non resisto, continuo verso il Chiappo almeno sino al monte Prenardo, altra ripida salita stavolta più erbosa con degli scavi anche profondi. Il panorama è simile, col muro dell’ Ebro davanti ed il Lesima più vicino. La discesa mi costringe a salti anche duri, ma è troppo bello correre così, è troppo bella la sensazione di libertà che si prova e, mi dispiace scriverlo in un blog di ciclismo, la bicicletta non porta emozioni di questo tipo (ne porta altre però!).

Ora però è tardissimo, slego la bici e noto che mi manca qualcosa: gli occhiali !!! Li ho lasciati al monte Ebro, e sono quelli della macchina in quanto quelli ciclistici li ho dimenticati a casa… Ma fra 40 minuti sarà tramonto, per cui riprendo la via del ritorno. Dopo pochi metri accade un piccolo miracolo, i due escursionisti trovati sul monte mi chiamano a gran voce ed hanno gli occhiali con loro, per cui riesco a raggiungerli e ringraziandoli recupero il mio oggetto, rompendo poi la borsa porta-scarpe nella discesa e riuscendola a tenere legata “in qualche modo”.

Lo sterrato in discesa non aiuta, ma è meno peggio di quanto me lo aspettassi dopo la salita, con la dovuta cautela lo supero senza problemi e supero anche la ripida discesa verso Salogni con un sole ormai nascosto dietro queste pendici. Non posso fare altro che spingere nei piani e disegnare bene le curve di Caldirola al calar del sole, con un arancione crepuscolare che illumina la val Curone sulla quale pedalo dovendo togliermi gli occhiali per poterci vedere meglio, e nella quale accendo comunque le luci. E’ tardissimo e all’ingresso di S.Sebastiano trovo un nebbione che copre tutto e mi butta in piena notte. Per fortuna mancano 2km, e tra illuminazione mia, pubblica e delle numerose auto incolonnate in uscita dalla fiera giungo agevolmente e senza pericolo al parcheggio per la fine di questo giro e la fine (almeno è ciò che penso) dei bei giri montani fuori stagione, che festeggierò con una visita alla fiera con qualche assaggio e vin brulée.

48km, 1330m (in bici)
4km, 265m (a piedi)

Il crinale verso il monte Giarolo, 1473m
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Crinale verso il Chiappo, col Lesima sullo sfondo
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Dovrei vedere il mare, ma questa foto è libertà!
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Giarolo sulla sinistra, nebbia ovunque
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Alle ultime luci di questo fantastico autunno
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Muro del monte Ebro
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